Il procedimento disciplinare riveste oggi una sua autonomia rispetto a quello penale.
Ciò in virtù di una serie di interventi legislativi, tra cui la L. 124/2015 (c.d. Legge Madia) e, da ultimo, quello apportato dal d.lgs. 91/2016 che ha modificato l’art. 1393 del d.lgs. 66/2010.
Già con il primo intervento vi fu la trasposizione della disciplina del pubblico impiego contenuta nell’art. 55 ter del D. lgs 165/2001 che comportò la caduta della c.d. pregiudiziale penale, della necessità, quindi, di sospendere obbligatoriamente il procedimento disciplinare in caso di procedimento penale pendente.
Tale regola, per cui non si avrà né sospensione del procedimento né, tantomeno, rinvio del medesimo, è categorica nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una azione disciplinare per infrazioni di minore gravità ed estranee al servizio.
Invece, vi sono due deroghe espressamente previste dalla normativa vigente, ove comunque potrà disporsi la sospensione precauzionale facoltativa dall’impiego prevista dall’art. 916 c.o.m.:
- la prima, nel caso in cui ci trovi innanzi ad infrazioni di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’art. 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’art. 1357, ma soltanto nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto, ovvero nel caso in cui, dopo gli accertamenti preliminari, non si abbiano sufficienti elementi conoscitivi per una valutazione disciplinare.
In questo caso potrà darsi luogo al rinvio del procedimento.
- La seconda ipotesi derogante si ha nella ipotesi di atti o comportamenti tenuti dal militare durante lo svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio (non rientrano quei comportamenti tenuti in orario di servizio, ma per ragioni proprie), escludendosi, in tal caso, la possibile apertura del procedimento disciplinare e la immediata ed obbligatoria sospensione di quello eventualmente già promosso.
Al termine del procedimento pendente presso l’A.G. che causò il rinvio o la sospensione di quello disciplinare, previo esame dell’esame del giudicato penale da parte del comando di corpo potrà essere promosso il procedimento disciplinare con la contestazione degli addebiti che, nel caso di procedimento disciplinare di stato, dovrà aver luogo entro novanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale del provvedimento penale suddetto, sia esso sentenza, decreto o provvedimento di archiviazione, , mentre nel caso di procedimento disciplinare di corpo, la suddetta contestazione dovrà avvenire “senza ritardo” avuto riguardo alla conoscenza dei provvedimenti penali di cui sopra.
Inoltre, il comma 2 dell’art. 1393 c.o.m., prevede che, nella ipotesi in cui il procedimento disciplinare non sia stato sospeso e si sia concluso con sanzione, ma a conclusione del procedimento penale sia intervenuto un provvedimento assolutorio “per non aver commesso il fatto” o “perché il fatto non sussiste” o, infine, “perché il fatto non costituisce reato”, il militare ha sei mesi di tempo dalla irrevocabilità della decisione penale, per proporre una istanza di riapertura del procedimento disciplinare.
Tale termine è previsto a pena di decadenza.
L’istanza va indirizzata, nel caso di sanzioni di corpo, al Comandante di Corpo, mentre per quelle di stato alla Direzione Generale per il Personale Militare.
In tal caso, l’autorità competente potrà confermare o modificare l’atto conclusivo sulla scorta dell’esito del procedimento penale.
Il procedimento disciplinare deve essere riaperto entro 90 gg dal deposito dell’istanza, con rinnovo della contestazione di addebiti e deve concludersi entro 270 gg. dalla riapertura, per i procedimenti di stato, mentre nel caso di quelli di corpo si applicherà il termine previsto dall’art. 1046, comma 1 lett. h), n. 7 T.U.O.M. ( D.Lgs. 90/2010).
Nella ipotesi in cui intervenga, invece, un provvedimento di condanna per un fatto per il quale si era ritenuto non sussistere una responsabilità disciplinare, l’Autorità Militare deve riaprire il procedimento disciplinare entro 90 gg dalla conoscenza integrale del provvedimento penale.
Ovviamente si avrà il rinnovo della contestazione degli addebiti.
Tale riapertura si avrà anche nella ipotesi in cui il procedimento disciplinare si fosse concluso con una sanzione non espulsiva (sospensione) ed il fatto oggetto di contestazione potrebbe comportare la sanzione della perdita del grado per rimozione o la cessazione dalla ferma o dalla rafferma.
Importante evidenziare che nel caso in cui si dovesse ritenere che il militare imputato non fosse nella piena capacità cognitiva al momento dei fatti contestati sia in sede penale che disciplinare e non si sia provveduto alla sospensione di quest’ultima procedura perché non ritenuti sussistenti i presupposti anzidetti, sarà opportuno chiedere una sospensione del procedimento disciplinare nell’attesa della perizia disposta dal giudice penale in quanto qualora dovesse emerge una incapacità di intendere e di volere totale al momento dei fatti, quindi non imputabilità ex art. 88 c.p., ciò avrà immediato riflesso anche nella potestà sanzionatoria dell’Amministrazione che è da ritenersi esclusa.
In merito è interessante una recente pronuncia del TARS-Catania ( sent. 03743/2023 del 12.12.2023) che ha così deciso un ricorso proposto contro una sanzione di stato comminata ad un appartenente alla GdF:
“Dirimente, ai fini dell’odierna controversia, è la circostanza che l’Autorità disciplinare procedente, una volta ricevuta istanza di sospensione motivata sulla scorta del fatto che il giudice penale militare aveva accolto la domanda di parte intesa ad ottenere una perizia ai fini dell’accertamento dell’imputabilità del militare, con motivazioni che non possono essere condivise in questa sede, ha ritenuto di poter concludere il procedimento disciplinare senza tenere in debita considerazione tale circostanza pregiudiziale.
I procedimenti in questione (penale militare e disciplinare) pur distinti e separati, con discendente autonomo apprezzamento dei fatti da parte delle Autorità investite del rispettivo potere sanzionatorio, rientrano nel più ampio genus del “diritto punitivo”, nell’ambito del quale la capacità di autodeterminarsi e di comprendere il disvalore della propria condotta da parte del soggetto agente rappresentano un antecedente necessario e indefettibile per l’irrogazione della sanzione correlata alla violazione delle norme che si assumono essere state violate.
Nel caso di specie, una volta che l’incolpato abbia prodotto agli atti del fascicolo disciplinare elementi consistenti per far dubitare della sussistenza della sua capacità di intendere e di volere al momento dei fatti contestati, allegando i conseguenti provvedimenti di accertamento disposti dall’Autorità giudiziaria militare, l’Amministrazione militare avrebbe dovuto sospendere il proprio procedimento, ovvero, in alternativa, avrebbe potuto attivare i propri poteri istruttori per disporre un accertamento analogo in sede disciplinare, attesa la richiamata autonomia dei due procedimenti.
Una volta, invece, che la medesima p.a. abbia deciso di concludere il procedimento disciplinare con una sanzione senza effettuare alcun accertamento in merito, ritenendolo non necessario, così come avvenuto nel caso di specie, l’azione amministrativa finisce per essere illegittima per difetto di istruttoria”.
Peraltro, la non trascurabilità dell’istanza di sospensione formulata dall’inquisito risulta essere stata confermata dall’esito del successivo accertamento peritale del giudizio in sede penale militare, ove il militare è stato dichiarato non imputabile, con discendente impossibilità, dunque, che per le stesse azioni compiute in uno stato di accertata incapacità possano essere irrogate sanzioni, a qualsiasi titolo, da parte dell’ordinamento giuridico”.
Pertanto, occorre sempre prestare la massima attenzione ai possibili processi evolutivi del procedimento penale, adattando la difesa in sede disciplinare al caso concreto.
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