DIFFAMAZIONE L’art. 227 c.p.m.p. prevede, al primo comma, la pena della reclusione militare fino a sei mesi per il militare che, fuori dei casi di ingiuria, offenda la reputazione di un altro militare. Al secondo comma prevede la pena della reclusione militare da sei mesi a tre anni nella ipotesi in cui l’offesa consiste nell’offesa di un fatto determinato, o recata col mezzo della stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità o con atto pubblico. La ratio dell’aggravamento sanzionatorio è da individuare, ancora una volta, nella maggiore offesa arrecata alla reputazione altrui, a causa della particolare diffusività dello strumento utilizzato per ledere il bene giuridico tutelato. Per quanto riguarda l’atto pubblico, occorre precisare che tale non è solo quello che sia pubblico in senso formale, ma anche quello che sia destinato alla pubblicità, in guisa che chiunque ne abbia interesse possa prenderne cognizione.Si tratta di fattispecie analoghe a quelle previste dall’art. 595 c.p. Infine sancisce che le pene sono aumentate se l’offesa è recata ad un corpo militare o ad un ente amministrativo o giudiziario militare. La differenza con il reato di cui all’art. 226 c.p.m.p. sta nel fatto che nella ingiuria, la persona offesa è presente, mentre nella diffamazione occorre l’assenza di questa e che l’espressione lesiva sia comunicata ad almeno due persone che non siano, ovviamente, l’offeso. A differenza dell’ingiuria, qui vi sono casi in cui può procedersi d’ufficio se rientranti nella fattispecie aggravata. Per la sussistenza del reato di diffamazione, non è necessario che la propalazione delle frasi offensive venga posta in essere simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, purché risulti comunque rivolta a più soggetti. Giurisprudenza meno recente affermava che in tema di diffamazione, sussiste l’estremo della comunicazione con più persone non solo quando l’agente prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata, nelle sue stesse intenzioni, ad essere riferita ad almeno un’altra persona, che ne abbia poi conoscenza. Più recentemente, si è affermato che configura il requisito della comunicazione con più persone, necessario ad integrare il reato, l’invio ad una persona di una mail con contenuto offensivo anche nei riguardi di altro soggetto, con l’intenzione di favorirne la comunicazione a quest’ultimo, che poi ne ha effettiva conoscenza. Il reato di diffamazione, essendo costituito dall’offesa alla reputazione di una persona determinata, non può essere ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. Interessante una pronuncia dei giudici di legittimità la quale sancisce che le critiche di scarsa professionalità ed inadeguatezza pubblicamente rivolte a un pubblico ufficiale, sempre che non abbiano modalità e contenuti insultanti, esprimono giudizi di valore attingenti l’avere pubblico del destinatario e sono di per sè dotate del carattere della continenza[1].
[1] Cass. Pen., sez.I, 1 dicembre 2009, n. 46107;
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