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REGISTRAZIONE CONVERSAZIONI TRA MILITARI. POSSIBILI CONSEGUENZE PENALI E DISCIPLINARI

2022-12-01 15:10

Avv. Christian Petrina

Procedimenti Disciplinari,

REGISTRAZIONE CONVERSAZIONI TRA MILITARI. POSSIBILI CONSEGUENZE PENALI E DISCIPLINARI

REGISTRAZIONE FRA MILITARI PRESENTI E POSSIBILI CONSEGUENZE DISCIPLINARI. È sempre più frequente, al giorno d’oggi, la registrazione di conversazioni

REGISTRAZIONE FRA MILITARI PRESENTI E POSSIBILI CONSEGUENZE DISCIPLINARI.

 

È sempre più frequente, al giorno d’oggi, la registrazione di conversazioni fra presenti, anche a mezzo telefono, ad esempio registrando una telefonata o discussione tramite apposita applicazione installata sul cellulare. Tutto ciò è legittimo? Ed entro quali confini, sopratutto in ambito militare?

Iniziamo subito col dire che tali condotte, se rimangono entro precisi limiti, non costituiscono reato come la Giurisprudenza[1] ha ritenuto, riferendosi  all’art. 617c.p. stto altri profili, ritenendo che nella registrazione di un colloquio effettuata da uno dei presenti non è dato riscontrare due elementi che caratterizzano la fattispecie delle intercettazioni che sono, da un lato la violazione del diritto alla segretezza della comunicazione in quanto questa comunicazione, nella quale non si sono intromessi soggetti estranei , appartiene ad ognuno degli interlocutori con conseguente potere dispositivo in capo a ciascuno di esse, e dall’altro non vi è la terzietà di chi registra.

Ciò anche se si registra all’insaputa degli altri interlocutori, purché, si ripete, chi registra sia uno dei partecipanti al discorso.

Le intercettazioni regolate dagli artt. 266 e segg. cod. proc. Pen, infatti, consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa comunicazione ovvero da soggetto che non è stato ammesso a partecipare alla conversazione o è al di fuori dello spazio in cui avviene la conversazione e che agisce con strumenti tecnici idonei ad eludere le eventuali cautele adottate per mantenere riservato il colloquio.

Invece, la registrazione fra presenti o, comunque, partecipanti al colloquio costituisce una forma di documentazione fonica di un fatto storico, della quale chi registra, avendo partecipato alla discussione, può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art.234 cod. proc. pen., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità della persona che vi partecipa, come nel caso di notizie coperte da segreto militare o simili.

Quindi, la registrazione fra presenti, salvo casi particolari, non costituisce illecito penale.

Appreso ciò, andiamo a verificarne la legittimità sul piano disciplinare nel caso di militari.

Ebbene, punto di riferimento è l’art. 712 DPR 90/2010 intitolato “doveri attinenti al giuramento” che definisce il concetto di etica militare, permeato in modo particolarmente blindato rispetto all’etica di altri settori anche della Pubblica Amministrazione, strettamente connesso con i concetti di lealtà e correttezza.

Ne consegue che questi valori, unitamente a quelli di onestà e fedeltà sono strettamente collegati allo status di militare e giustificati dall’esigenza di unità all’interno delle forze armate, ove ciascuno deve potersi fidare pienamente dei propri colleghi. Ecco perché una condotta che possa inquadrarsi come inganno o sotterfugio mal si attaglia con i principi anzidetti determinando una violazione del giuramento prestato.

Inoltre, vi sarebbe anche una indiretta violazione dele regole della civile convivenza di cui all’art. 732 Dpr 90/2010 e dell’art. 733 DPR 90/2010 che regola la correttezza nel tratto.

Anche perché se si legittimasse pienamente l’uso di tale strumento captatorio, comunque fraudolento, verrebbe meno quella reciproca fiducia tra i militari che sta alla base della coesione della Forza di appartenenza.

Inoltre, si consideri che chi registra ha la possibilità di orientare il colloquio verso la direzione a lui gradita, mentre chi ignora la captazione parla liberamente potendo, di fatto, essere manipolato dal proprio interlocutore.

Pertanto, sarebbe opportuno, onde evitare possibili conseguenze sul piano disciplinare per violazione degli articoli suddetti, avvisare i propri interlocutori che si intende registrare la conversazione.

ATTENZIONE PERO’ !!!!

Che succede nel caso in cui, ad esempio, ci si voglia precostituire una prova da utilizzare in giudizio nel caso in cui sia proprio l’interlocutore incosapevole della registrazione ad avere per primo violato le norme sulla lealtà e correttezza imposte dal regolamento militare? Si immagini il caso di un superiore che, di fatto, compie condotte mobbizzanti su un subordinato. 

Ebbene, che la registrazione della conversazione con un proprio superiore sia legittima se effettuata a fini difensivi è principio oramai indefettibile che trova piena conferma nelle pronunce della Giurisprudenza, anche della Suprema Corte.

Infatti, la registrazione di conversazione assurge al rango di prova se effettuata da uno dei soggetti coinvolti nella conversazione, essendosi la Suprema Corte anche espressa circa le condizioni che legittimano la produzione, in  eventuale giudizio, anche amministrativo, delle registrazioni effettuate all’insaputa dell’interlocutore, rinvenendo tali condizioni sia nell’esigenza di tutela o riconoscimento di un diritto che nell’utilizzo delle riproduzioni esclusivamente per esigenze di difesa e durante il periodo necessario a dette esigenze.

Il medesimo Collegio con la sentenza 31204 del 2 novembre 2021, ha affermato che “è lecito registrare di nascosto le conversazioni con i colleghi se è necessario per ottenere delle prove in vista di un eventuale giudizio. Il diritto di difesa, infatti, prevale sul diritto alla riservatezza dei colleghi”. 

Anche la Corte di Appello di Milano ha stabilito che la registrazione audio di un colloquio tra presenti, ha natura di prova che può essere utilizzata per scopi difensivi, sicché la registrazione operata dal lavoratore ed avente ad oggetto un colloquio con il proprio datore di lavoro, non integra alcun illecito disciplinare (C. App. Milano, sent. n. 369/2019).

Inoltre, già in una precedente sentenza la Suprema Corte aveva sancito che: «Il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere eseguito anche in assenza di tale consenso, se volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive; ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Le registrazioni di colloqui ad opera di una delle persone presenti e partecipi ad essi, effettuate all’insaputa dei soggetti coinvolti, posto che vengano adottate tutte le dovute cautele al fine di non diffondere le registrazioni, trattandosi di una condotta posta in essere dal dipendente per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda ritenuta pregiudicata dalla condotta altrui, sono legittime e come tali non integrano in alcun modo non solo l’illecito penale ma neanche quello disciplinare» (Cass. sent. n. 11322/2018).

Invero, il rispetto dei canoni di cui all’art. 712 TUROM non può in alcun modo comportare una compressione del proprio diritto di difesa, tra cui il precostituirsi una prova, che è un diritto costituzionalmente garantito.

Anche a voler assurgere tale termine al rispetto dei rapporti gerarchici, ciò non vuol dire, nemmeno in tal caso, rinunciare a diritti costituzionalmente garantiti quali, si ripete, il proprio diritto di difesa.

 Si immagini, ad esempio, il caso della proposizione di un ricorso gerarchico quale passaggio obbligato dalla Legge per un successivo ricorso al Tar, al fine ultimo di evidenziare la verità dei fatti per un corretto esercizio dell’azione della Pubblica Amministrazione. Ovviamente, nel caso in cui non sia altrimenti possibile provare ciò che si vuole dimostrare a propria difesa.

In altri termini, quanto stabilito da norme di legge, anche se militari, cede dinanzi a principi e diritti costituzionalmente garantiti, quale il diritto di difesa, in ossequio alla gerarchia delle fonti normative.

In conclusione, entro determinati limiti e per specifiche finalità difensive, postume ad eventuali abusi, potrebbe essere legittimo sconfinare oltre i limiti imposti dalla legge militare che, nel rispetto della gerarchia delle fonti, non può ledere diritti costituzionalmente garantiti come il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione.

Questa, si precisa, è una possibile lettura della problematica sopra evidenziata che, tuttavia, è frutto della interpretazione di chi scrive e non vuole essere esaustiva di tutte le possibili e svariate casistiche in merito che vanno analizzate caso per caso.

Il consiglio è di evitare, tra militari, nella ipotesi in cui non sia strettamente necessario,  registrazioni di conversazioni in quanto è capitato sovente di veder promosso a  carico del militare che registra di nascosto un procedimento disciplinare.

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[1] Cass., S.U., 24 settembre 2003, n. 36747;

 

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