La legge 104/92, ha la chiara finalità di garantire il "pieno rispetto della dignita’ umana e i diritti di liberta’ e di autonomia" e di promuovere "la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella società" (art. 1) della persona che "presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che e’ causa di difficolta’ di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione" (v. art. 3 comma 1), dettando i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza".
L’art. 33 comma 5 legge n. 104/92 prevede che il lavoratore dipendente che assiste un familiare con handicap grave ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso in altra sede.
Al comma 3 del medesimo articolo si riconosce, invece, il diritto del lavoratore che assiste un familiare in situazione di gravità (cfr. art. 3 comma 3) ad usufruire di permessi retribuiti per un periodo pari a tre giorni mensili, a condizione che il disabile sia un parente, coniuge od affine non oltre il terzo grado.
È necessario che la persona disabile non sia ricoverata "a tempo pieno". Tale circostanza non si considera sussistente se si avrà un ricovero interrotto per recarsi fuori dalla struttura per visite o terapie, oppure si tratti di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale od ancora, sia un minore disabile per il quale sia documentata la necessità di assistenza di un genitore o un familiare.
Per ogni familiare assistito si ha diritto a 3 giorni al mese e 18 ore mensili frazionabili per un tempo pari o superiore ad un’ora.Inoltre, nel caso di genitori che assistono figli con disabilità grave di età inferiore ai tre anni oppure di età tra i tre e gli otto anni, potranno usufruire, alternativamente, degli altri benefici dell’art. 33 e dell’art. 42 D.Lgs. 151/2001.Tale norma è applicabile anche al personale militare.
IMPORTANTE evidenziare che anche coloro che non sono ancora in servizio permanente (ad es. VfI) possono usufruirne in base a recenti pronunce della Giurisprudenza amministrativa che equipara la loro posizione a coloro che sono già in servizio permanente.
La pronuncia fa riferimento ad una istanza ex art. 42 bis D. Lgs. . 151/2001, ma sancisce un principio di diritto potenzialmente estensibile a tutte le istanze di assegnazione temporanea.
Vedi ad es. Cons. Stato, Sez. II, Sent. 8051/2021: "alla luce di quanto statuito dalla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, in data 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L. n. 175 del 1943), intitolata "Principio di non discriminazione", che al punto 1 così dispone: "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive". Tale disposizione è stata peraltro valorizzata dalla Corte di Giustizia, anche in una recente pronuncia (Corte di giustizia dell'Unione Europea, Settima Sezione, Sentenza 3 giugno 2021) cosicché può ritenersi ormai ben consolidato un preciso orientamento, a livello comunitario, suscettibile di applicazione nei Paesi membri, che tende ad estendere la tutela del lavoratore a tempo indeterminato in maniera da abbracciare anche i lavoratori a tempo determinato. Tale "principio di non discriminazione", come coniato dalla rubrica dell'articolo, ha trovato peraltro applicazione anche ai fini della necessaria conservazione, in favore dei dipendenti pubblici passati in ruolo, dell'anzianità e quindi del trattamento economico e dei livelli incrementali maturati durante il servizio a tempo determinato, in modo da escludere qualsivoglia reformatio in pejus nel passaggio al regime a tempo indeterminato (Corte di Giustizia UE, sez. IV, 18 ottobre 2012)[….]
[…]Tale orientamento sottende la presa d'atto relativa al fatto che il volontario in forma prefissata, sebbene non sia titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non può essere considerato un soggetto estraneo alla compagine amministrativa quanto piuttosto un militare già integrato nei ranghi dell'Amministrazione al pari, mutatis mutandis, dei militari inseriti stabilmente in ruolo. Ne deriva che anche il volontario in ferma prefissata appartiene all'apparato organizzativo dell'Amministrazione militare cosicché se è lecito da lui attendersi il pieno possesso dei requisiti soggettivi anzidetti ai fini della sua presa di servizio, in uno all'esatto espletamento dei compiti impartiti, non può non assicurarsi in suo favore anche il rispetto delle prerogative previste dall'ordinamento per coloro che appartengono alla medesima compagine organizzativa sia pure in forma stabile"
Tuttavia, se il richiedente è un militare sussistono dei limiti previsti all’art. 981 comma 1 lettera b) del decreto legislativo n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare), così come modificato dall’articolo 6 comma 1 lettera e) del d.l. 8/2014, il quale, attraverso una norma speciale, dispone che per il personale dell’ Esercito italiano, della Marina militare, dell’Aeronautica militare e dell’Arma dei Carabinieri "si applica l’art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni" ma "nel limite delle posizioni organiche, previste per il ruolo e il grado, vacanti nella sede di richiesta destinazione.
In costanza di riconoscimento del diritto previsto da tale norma, il personale dell’Esercito italiano, della Marina militare, dell’Aeronautica militare e dell’Arma dei carabinieri interessato non è impiegabile in operazioni in ambito internazionale o in attività addestrative propedeutiche alle stesse".
Pertanto, da una lettura congiunta dell’art. 33 comma 5 della legge 104/92 e dell’articolo 981 comma 1 lettera b) del decreto legislativo n. 66/2010 ne consegue che l’esigenza di tutela del disabile sarà " soggetta" al generale principio di bilanciamento degli interessi, "specie quando il trasferimento del dipendente si porrebbe in contrasto con le esigenze organizzative dell’amministrazione" [1]e le istanze saranno soddisfatte solo ove vi fossero delle posizioni organiche previste per il ruolo ed il grado, vacanti nella sede di destinazione richiesta.Inoltre, se il militare richiedente vanta una formazione specialistica tale da svolgere un determinato incarico, la domanda potrà essere rigettata qualora nella sede richiesta non vi sia la possibilità di impiegarlo in ruoli od incarichi consoni alla propria specializzazione.[2].
Occorre comunque considerare che, anche nella ipotesi di rigetto giustificato da esigenze oggettive, tale decisione dovrà essere sufficientemente motivata, tale da dimostrare adeguata giustificazione alla soccombenza del diritto del disabile a ricevere adeguata assistenza, rispetto alle esigenze della Pubblica Amministrazione, descrivendo anche la dotazione organica delle sedi di appartenenza e destinazione, tale da potersi effettuare una valida comparazione.[3].È utile evidenziare che non sono più richiesti i requisiti della continuità e dell’assistenza.
Ovviamente, l’assenza dal servizio conseguenziale alla utilizzazione dei permessi retribuiti non sortirà alcun effetto sulla tredicesima, sul computo del periodo per maturare la licenza ordinari, sul trattamento di fine servizio e sull’anzianità né sul conseguimento dei periodi necessari per l’avanzamento. Diversamente nel caso di congedo straordinario retribuito ex art. 42, commi 5 e ss. D.lgs 151/2001.
Tuttavia, chi gode di tali benefici non è escluso dalla normale pianificazione, ben potendo, quindi, essere trasferito presso altri comandi, esclusi quelli incompatibili (attività internazionali o attività di addestramento propedeutiche alle stesse) ex art. 1506, comma 1, lett. h bis c.o.m..Ciò non avviene nel caso di benefici ex art. 33 comma 5 l. 104/1992.
Con specifico riferimento a quest’ultima norma (agevolazioni relative alla sede di servizio), la domanda va presentata al Comandante di Corpo con allegata la certificazione medica che attesta la situazione di handicap grave.
Ricevuta l’istanza, il comandante suddetto, dopo aver effettuato tutti i necessari controlli sulla regolarità formale di istanza e documenti, la inoltrerà all’Ente competente con un proprio parere anche in merito all’impatto organizzativo che il trasferimento potrebbe determinare.
L’ente, entro 90 giorni, comunica all’istante l’inizio del procedimento indicando anche il termine conclusivo, notificando, eventualmente un preavviso di rigetto ex art. 10 bis L. 241/1990 per permettere all’interessato di presentare controdeduzioni a sostegno della propria istanza. Successivamente, potrà concedere il beneficio richiesto, oppure rigettare la domanda.
Volendo esaminare la Legge più da vicino, occorre dire che per godere dei benefici da essa previsti occorre che il familiare da assistere abbia un handicap grave consistente in menomazioni fisiche o psichiche o sensoriali.
Necessita precisare che il termine handicap indica un concetto diverso da quello d’invalidità, in quanto per determinare la percentuale di quest’ultima si prende in considerazione la riduzione della capacità lavorativa, mentre per il riconoscimento dello stato di handicap si considera la situazione di svantaggio sociale o di emarginazione del soggetto richiedente.
Preliminarmente, quindi, occorrerà richiedere all’Ente preposto (INPS), attraverso un’apposita istanza documentata con certificazione medica comprovante natura e grado della disabilità sofferta che poi verrà accertata da una Commissione Medica Esaminatrice dell’ASL.
A tal fine, onde individuare quali patologie possono far ottenere i vari benefici (handicap o handicap grave), sono state predisposte delle tabelle ministeriali che rapportano l’incidenza della patologia sofferta sulla capacità lavorativa, andandosi ad individuare tabellarmente una percentuale di invalidità sulla base della gravità della patologia.Qualora, nel caso specifico, la patologia non fosse ricompresa nelle tabelle, i sanitari interessati dovranno descrivere le patologie in modo da poterle raffrontare con quelle previste tabellarmente e di pari gravità.
Il verbale della commissione potrà indicare tali conclusioni: Persona non handicappata; Persona con handicap ex art. 3 co. 1 L. 104/1992 (handicap non grave); Persona con handicap con connotazione di gravità ex art. 3 co. 3 L. 104/1992; Persona con handicap superiore ai 2/3 ex art. 21, L. 104/1992. La commissione potrà, inoltre, decidere e verbalizzare se si tratta di un handicap da sottoporre a revisione ad una precisa scadenza temporale che indicherà ovvero (soggetto a revisione) non soggetto a revisione.Potrà essere indicato anche che si tratti di un handicap soggetto ad aggravamento, da chiedersi con una istanza analoga a quella volta ad ottenere il riconoscimento.
Contro il giudizio della commissione medica è possibile promuovere un ricorso giurisdizionale entro sei mesi dalla notifica del verbale sanitario, termine perentorio, il cui superamento comporta la decadenza dal diritto ad impugnare, dovendosi, in tal caso, riformulare una nuova istanza.
Prima di promuovere il ricorso, occorre precisare, dovrà chiedersi al giudice un accertamento tecnico preventivo attraverso la nomina di un CTU che verrà assistito nelle operazioni peritali da un medico dell’INPS.
Depositata tale consulenza, le parti hanno trenta giorni per, eventualmente, impugnare le conclusioni del CTU, aprendosi, in tal caso un giudizio, attraverso il deposito del ricorso introduttivo motivato.In caso contrario, il giudice formalizza il decreto di omologazione dell’accertamento che non sarà più revocabile o modificabile.
[1] T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 7 giugno 2007, n. 5257;[2] Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015, n.1678;[3] Tar Puglia - sede di Bari - sent. 306 del 09.03.2016
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