Analizziamo, sinteticamente, il procedimento relativo per il riconoscimento dello status di vittima del dovere.
Sono considerate vittime del dovere coloro che appartengono alle Forze Armate, alla Magistratura ed alle forze dell’ordine che siano deceduti per effetto diretto di lesioni o ferite riportate durante un’attività di servizio nell’ambito di azioni terroristiche o criminali o, comunque, di ordine pubblico, ovvero in occasione di eventi comunque collegati all’esercizio di funzioni d’istituto e dipendenti da rischi attinenti in modo specifico ad operazioni di polizia preventiva o repressiva o nell’ambito di attività di soccorso[1], beneficio riconosciuto anche ai dipendenti pubblici che siano deceduti o abbiano riportato una invalidità (vedi sotto) Recita, infatti, l’art. 3 della L. 466/1980: “Ai magistrati ordinari, ai militari dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, del Corpo degli agenti di custodia, al personale del Corpo forestale dello Stato, ai funzionari di pubblica sicurezza, al personale del Corpo di polizia femminile, al personale civile della Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, ai vigili del fuoco, agli appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso, i quali, in attivita' di servizio, per diretto effetto di ferite o lesioni subite nelle circostanze ed alle condizioni di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge, abbiano riportato una invalidità permanente non inferiore all'80 per cento della capacità lavorativa o che comporti, comunque, la cessazione del rapporto d'impiego, e' concessa un'elargizione nella misura di lire 100 milioni”.
Successivamente, il D.L. 28 novembre 2003, n. 337, convertito con modificazioni dalla L. 24 dicembre 2003, n. 369 ha disposto che per gli eventi successivi alla data del 1° gennaio 2003, le speciali elargizioni di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466 sono elevate ad euro 200.000.
Tale diritto, come anzidetto, viene espressamente riconosciuto anche agli altri dipendenti pubblici che abbiano subito una invalidità permanente nell’espletamento di un servizio sempre, ovviamente, per lesioni o ferite riportate in azioni mirate allo svolgimento di attività di contrasto ad ogni tipo di criminalità, nello svolgimento di servizi di ordine pubblico, nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari, in operazioni di soccorso, in attività di tutela della pubblica incolumità ovvero a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità [2]. Inoltre, a coloro che abbiano subito una invalidità permanente o patito una infermità alla quale è succeduta la morte, in occasione di eventi legati a missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali che devono essere riconosciute come causa di servizio in considerazione delle particolari condizioni ambientali ed operative.[3]
Il significato del termine “missione di qualunque natura” viene esplicitato dal DPR 243/2006 che stabilisce che tali devono intendersi le missioni autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente.
La domanda, per ciò che concerne il Ministero dell’Interno, va presentata per mezzo dell’ufficio o comando di appartenenza, trasmettendola per tale via al Prefetto del luogo dove si è verificato l’evento o quella della provincia di residenza degli eventuali beneficiari in quanto il Prefetto esaminerà l’istanza e gli allegati al fine di trasmettere il tutto, corredato di un proprio parere sulla sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, al Ministero dell’Interno che potrà disporre una supplementare attività istruttoria oppure concludere il procedimento.
Fermo restando che è prevista anche la procedibilità d’ufficio per le vittime del dovere, dipendenti pubblici, in ogni caso, sono legittimati ad inoltrare l’istanza o direttamente la vittima o i familiari superstiti in caso di morte, compresi i conviventi a carico del de cuius negli ultimi tre anni antecedenti l’evento, i conviventi more uxorio o, in via residuale, cioè se unici superstiti, i fratelli o ascendenti in linea retta, gli orfani, anche se non conviventi e non a carico.
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[1] V. in tal senso art. 3 comma 2 L. 629/1973.
[2] art. 1, comma 563, L. 266/2005
[3] art. 1, comma 564, L. 266/2005