In tema di ingiuria a un inferiore, la posizione di supremazia gerarchica dell’autore rispetto alla persona offesa non consente di considerare prive di contenuto lesivo espressioni volgari, pure ormai prive di connotazioni offensive nel linguaggio comune e tra pari, in quanto le stesse riacquistano il loro specifico significato spregiativo se rivolte al sottoposto in violazione delle regole di disciplina e dei principi che devono ispirarle in forza dell’art. 52, comma terzo, Cost. (Sez. 1, n. 7575 del 22/01/2014 - dep. 18/02/2014, Pg in proc. Torre, Rv. 259415; ed in senso conforme Sez. 1, n. 12997 del 10/02/2009 - dep. 25/03/2009, Ottaviano e altro, Rv. 243545).
Si è, inoltre, precisato (Sez. 1 23.10.1997, Rv. 209439) che lì dove un superiore gerarchico voglia esprimere una critica ad un comportamento del sottoposto, senza sconfinare nell’insulto, occorre che le espressioni usate individuino gli aspetti censurabili del comportamento stesso, chiariscano i connotati dell’errore, sottolineino l’eventuale trasgressione realizzata.
Se, invece, le frasi adoperate si limitino a recare offesa, non può sostenersi l’assenza di potenzialità ingiuriosa, pur se in ipotesi le stesse siano ricollegabili ad un comportamento scorretto.