Il decreto-legge n. 172 del 2021 aggrava quanto già previsto con medesima fonte normativa nel mese di aprile 2021. In primo luogo, estende il termine finale dell’obbligo vaccinale dal 31 dicembre 2021 al 15 giugno 2022, comprendendovi anche la dose di richiamo e prevedendo una sospensione del rapporto di lavoro “temporanea” (fino al 15 giugno 2022) senza diritto a retribuzione, emolumento o equipollenti, senza che il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale possa costituire illecito disciplinare e con il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.
Si nota subito che si è esteso l’obbligo vaccinale, andando a ribadire che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa dei soggetti obbligati”, anche ad altre categorie di lavoratori e professionisti quali il personale scolastico, quelli del comparto difesa, soccorso pubblico , sicurezza, agli appartenenti la polizia locale ed altre categorie compresi tutti coloro che svolgono a qualsiasi titolo il proprio lavoro in strutture sanitarie o socio-sanitarie a meno che non in forza di contratti esterni. Purtroppo, non viene confermato quanto, in modo maggiormente garantistico, prevedeva il D.L. 44 del 2021 all’art. 4 comma 8 in merito alla circostanza che il datore di lavoro deve prima verificare la possibilità di adibire il lavoratore inadempiente ad altra mansione che non implichi rischi di contagio, anche inferiore seppur con il medesimo trattamento. E questa è già una prima incongruenza della norma. Non si comprende per quale motivo non dare tale possibilità al lavoratore nel caso in cui non vi siano rischi per la salute altrui, come nel caso di lavoro in smart working già ampiamente sperimentato.
Altro profilo da valutare è se tale normativa contrasti con diritti costituzionalmente tutelati come il diritto al lavoro tutelato sin dal primo articolo della carta Costituzionale italiana.
In effetti, la sospensione senza retribuzione sembra una misura sproporzionata, basti pensare che, ad esempio in ambito militare anche nei casi di sospensione dal servizio come nel caso di una sanzione di stato conseguente ad una condanna penale, si avrà comunque diritto alla metà del trattamento economico. In altri termini, vi sarebbe un evidente violazione del principio di eguaglianza , art. 3 cost., atteso che la natura del bene tutelato dalla normativa de qua non giustifica tale difformità di trattamento rispetto all’altro. Anzi, per assurdo un militare che ha sempre svolto doverosamente il proprio lavoro, ma che non si vaccinerà, avrà un trattamento peggiore di un collega che viene sospeso, ad esempio, a causa di un pregiudizio penale. Poteva almeno prevedersi un assegno alimentare in favore dei lavoratori sospesi ai sensi del D.L. 172/2021 previsto per gli impiegati pubblici in caso di sospensione cautelare, andando così a rafforzare il dubbio circa la costituzionalità di tale normativa per contrasto con l’art. 3 Cost.
Si è cercato di giustificare tale imposizione vaccinale con la circostanza che i vaccini non siano in fase sperimentale, ma anche a voler far finta di non ricordare che sono approvati condizionatamente, non si comprende perché se sono davvero sicuri non imporre l’obbligo tout court. Inoltre, vero è che alcune categorie di lavoratori hanno un dovere di esporsi al pericolo, seppur di natura diversa, ma vi sono altre categorie, come ad esempio i docenti che prestano una attività che di pericoloso in se’ non ha proprio nulla. E’anche vero, però che giustificare in tal senso l’obbligo vaccinale significa riconoscere la potenzialità lesiva dei vaccini. Altra illogica disparità di trattamento si ha tra gli operatori sanitari che possono essere adibiti a mansioni diverse in caso di differibilita’del vaccino, mentre la medesima possibilità non è prevista per le altre categorie, quando ad esempio, per i docenti poteva prevedersi la facoltà di lavorare tramite didattica a distanza ( cd. DAD) così come accade in caso di quarantena di una classe. In conclusione, siamo ancora in contrasto con l’art. 3 Cost. anche in merito al cd. principio di ragionevolezza ad esso correlato e con l’ art. 36 che tutela il diritto al lavoro e la correlata e dovuta retribuzione. Inoltre, anche in merito all’art. 32 Cost. che tutela il diritto alla salute sancendo, oltre al riconoscimento di diritto del singolo e della collettività, che si può imporre un trattamento sanitario solo per espressa previsione di legge, ma senza che questa possa violare in nessun caso i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Proprio ricollegandosi al suddetto dettato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 307 del 31 gennaio – 22 giugno 1990, ha affermato (sub n. 2 del “considerato in diritto”), con riferimento alla vaccinazione antipoliomelitica per i bambini entro il primo anno di vita, quanto segue (36): “ l'art. 32 della Costituzione […] nel primo comma definisce la salute come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività"; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
33 Cfr. C. Capolupo, “Green pass e obbligo vaccinale”, in www.diritto.it, ins. il 29 ottobre 2021, p. 15 e nota 45. Da ciò si desume che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo
stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.Con riferimento, invece, all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute - e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell'imposizione del trattamento sanitario - implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l'essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito.E parimenti deve ritenersi per il danno - da malattia trasmessa per contagio dalla persona sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio o comunque a questo ricollegabile - riportato dalle persone che abbiano prestato assistenza personale diretta alla prima in ragione della sua non autosufficienza fisica (persone anche esse coinvolte nel trattamento obbligatorio che, sotto il profilo obbiettivo, va considerato unitariamente in tutte le sue fasi e in tutte le sue conseguenze immediate).
Se così è, la imposizione legislativa dell'obbligo del trattamento sanitario in discorso va dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non prevede un'indennità come quella suindicata”.
In altri termini, se si vuole imporre la vaccinazione è necessario prevedere una indennità per eventuali conseguenze negative da essa derivanti.
Questo perché, come sottolineato anche in altre pronunce della medesima Corte, nessuno può essere obbligato a sacrificare la propria salute a vantaggio di quella degli altri.
A ciò si aggiunga la logica conclusione che le conseguenze dei vaccini anti Covid-19, a volte anche mortali come è noto, non hanno il carattere della temporaneità e scarsa entità tale da potersi paragonare ad un normale intervento sanitario.
In conclusione, la normativa brevemente esaminata dovrebbe far riflettere circa una immediata e celere rivisitazione della stessa in una forma e contenuto maggiormente aderenti ai principi costituzionali della Repubblica Italiana.