PROCESSO PENALE E TRASFERIMENTO DIPENDENTE
Affrontiamo l’annoso problema del trasferimento del dipendente della P.A., ad esempio un appartenente alla Polizia di Stato che, in seguito ad un provvedimento a proprio carico di rinvio a giudizio si vede applicato l’art. 3 della L. 27 marzo 2001 n. 97.
Ebbene, ciò non può comportare automaticamente l’applicazione della misura cautelare del trasferimento d'ufficio o della sospensione dal servizio del dipendente, senza che l’atto sia preceduto da una approfondita valutazione sulla opportunità-necessarietà del provvedimento cui deve conseguire una adeguata motivazione.
La Giurisprudenza ritiene non configurarsi per la pubblica amministrazione l'obbligo inderogabile di procedere al trasferimento d'ufficio del dipendente rinviato a giudizio o, in alternativa, alla sua collocazione in aspettativa retribuita.
Al contrario, sostengono i giudici, una interpretazione della norma costituzionalmente orientata impone la facoltatività delle due misure cautelari e, di conseguenza, la discrezionalità della Pubblica Amministrazione sulla loro adozione.
Pertanto, le due misure del trasferimento ad altro ufficio e della collocazione in aspettativa retribuita, previste rispettivamente dal primo e secondo comma dell'articolo 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97, sono dirette a salvaguardare il medesimo bene giuridico, che si identifica con l'interesse pubblico dell'amministrazione a non ricevere danno e discredito dalla permanenza sul posto di lavoro del dipendente rinviato a giudizio.
Quindi occorre la presenza di effettive ragioni di opportunità per l'ente di appartenenza del dipendente, al fine di salvaguardare il prestigio e dell'autorità della pubblica amministrazione.
Se invece la norma fosse interpretata nel senso che l'adozione di una tra le due misure restrittive previste dall'articolo 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97 costituisca un atto dovuto e non discrezionale risulterebbero irragionevolmente pregiudicate le garanzie minime di tutela del lavoratore rinviato a giudizio, equivalendo ciò ad una vera e propria sanzione anticipata nei confronti del lavoratore rinviato a giudizio, ponendosi in aperta violazione del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza comportando, in altri termini, l’applicazione al dipendente di un provvedimento di condanna anticipata prima ancora che il processo penale sia celebrato.
Quindi occorre una attenta valutazione della opportunità del provvedimento cautelare e, in ogni caso, incombe alla P.A. ornare il provvedimento assunto nei confronti del pubblico dipendente di una motivazione adeguata in relazione all'adozione del provvedimento di trasferimento.
Giova rilevare, al riguardo, che la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo consiste nelle indicazioni delle circostanze di fatto e delle ragioni di diritto al fine di consentire al dipendente di ricostruire l'iter logico - giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottarlo, per controllare, quindi, il corretto esercizio del potere ad essa conferito dalla legge, facendo valere eventualmente nelle opportune sedi giurisdizionale le proprie ragioni (C.d.S., sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5868; 29 aprile 2002, n. 2281).
Ad ulteriore conforto di tali assunti, va ricordato che anche alcuni Tribunali amministrativi regionali hanno sollevato, in varie decisioni, numerosi dubbi di legittimità costituzionale del successivo art. 4 L.97/01 in quanto “la sospensione prevista dalla disposizione in esame conseguirebbe automaticamente alla condanna non definitiva del dipendente e si configurerebbe come misura cautelare, finalizzata all'allontanamento temporaneo dello stesso dal servizio. Il legislatore avrebbe in tal modo operato una valutazione ex ante circa l'incompatibilità del mantenimento in servizio di un pubblico dipendente condannato in via non definitiva, per determinati reati” (v.tra gli altri Tar Emilia - Romagna, sez. I, ord. n. 548 del 11 luglio 2001) e che la sospensione automatica “sarebbe in conflitto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità in base ai quali dovrbbe in linea generale essere invece consentito di valutare discrezionalmente alla P.A., in relazione alla gravità del fatto ed alle sue circostanze nonché alla personalità del soggetto agente, l'opportunità di applicare o meno la misura cautelare”.
Non solo, una automatica e non attentamente valutata applicazione di una delle due misure cautelari di cui parliamo costituirebbe una potenziale violazione dell'art. 97, primo comma, Cost. con riferimento al principio del buon andamento della P.A., inteso come efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, perché la P.A. si troverebbe privata della possibilità di compiere le proprie stime del caso con riferimento alla consistenza della condotta illecita del dipendente ed alla comparazione con lo stato di servizio e gli specifici incarichi fino ad allora svolti dal medesimo.
Una recente giurisprudenza di legittimità, formatasi sul punto, ha sancito che la misura cautelare può essere disposta non già sul mero presupposto della pendenza del procedimento penale né sulla base di un esame solo formale dell'accusa contestata in quel procedimento, ma in base ad una autonoma delibazione "del merito … in ordine alla responsabilità dell'impiegato, al rilievo disciplinare della condotta attribuitagli e alla sussistenza di esigenze che in concreto" renderebbero "inopportuna la sua permanenza in servizio", e dunque in base ad un apprezzamento "in ordine alla sussistenza del 'fumus' degli addebiti e delle esigenze cautelari, ancorché pur sempre in relazione alla pendenza del procedimento penale ed ai fatti per i quali in esso si procede (Cass., sez. un. civ., 3 giugno 1997, n. 4965; 8 luglio 1998, n. 6631).
Deve essere, quindi, ritenuta del tutto insufficiente, proprio ai fini della salvaguardia del principio di non colpevolezza, una motivazione limitata alla circostanza che nei confronti del dipendente è iniziato un procedimento penale (qualunque esso sia) e che non specifichi se la permanenza in servizio dell'impiegato stesso arrechi un qualche grave pregiudizio per la P.A., anche tenendo conto delle mansioni svolte dallo stesso e, soprattutto, ne motivi approfonditamente le conclusioni, indicando analiticamente il perché la non adozione del provvedimento comporterebbe nocumento al buon andamento della Pubblica Amministrazione.
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