In seguito all’entrata in vigore del D.Lgs 7 del 2016 che depenalizza, tra gli altri, il reato di ingiuria p.e p. dall’art.594 c.p., ci si è posti il problema del destino della figura delittuosa prevista dall’art. 226 c.p.m.p.
Ciò prendendo in considerazione, come punto di partenza, il cd. "Principio di offensività" che fa si che affinchè vi sia reato non basta che il fatto storico contenga tutti gli elementi astrattamente previsti dalla norma incriminatrice, ma occorre anche la lesività del bene protetto scaturente proprio da tale condotta.
In particolare, il problema che ci si è posti è relativo alla legittimità costituzionale dellla legge 7/2016 nella parte in cui, depenalizzando il reato comune di ingiuria non abbia parimenti fatto con quello militare.
Secondo alcuni l’ingiuria militare è un reato diverso, geneticamente, da quello comune in quanto, innanzitutto, è legata ad un principio previsto da una disposizione del codice penale militare di pace ( ci si riferisce all’art. 37 che prevede che "qualunque violazione della legge penale militare è reato militare", ma, anche e soprattutto, perché tutela un bene giuridico ulteriore rispetto a quello protetto dall’art. 594 c.p. .
Infatti, oltre alle qualità morali ed alla dignità del militare viene tutelato anche l’interesse giuridico connesso al "servizio ed alla disciplina". Tuttavia, la critica che potrebbe muoversi a tale lettura è che il reato di cui all’art. 226 c.p.m.p. è inserito nel titolo IV, capo III intitolato "reati contro la persona", diversamente da quelli inseriti nel titolo III "Reati contro la disciplina militare", quali, ad esempio, il 189 comma 2 ( insubordinazione con ingiuria).
Tale diversa collocazione sembrerebbe rendere priva di pregio la tesi anzidetta. Infatti, la Corte Militare di Appello, nel rimettere la questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost alla Corte Costituzionale, giudicandola non manifestamente infondata, evidenzia proprio l’assenza di qualunque giustificazione tra questa disparità di trattamento tra militari e civili.
Una precisazione dovuta è che il profilo di incostituzionalità sollevato era relativo, in particolare, alle ipotesi in cui l’offesa non fosse minimamente attinente a profili legati al servizio ed alla disciplina militare, sottolineando che, proprio in questo caso si configurerebbe una ingiustificata disparità di trattamento perché un civile, per una condotta identica, anche in quanto a lesività di un medesimo bene giuridico, non ne risponderebbe penalmente contrariamente ad un militare.
Ebbene, con sentenza 215 del 2017, la Corte costituzionale ha salvato la costituzionalità dell’articolo 226 c.p.m.p. ritenendo che non vi è alcuna regressione dei diritti dei militari di fronte alle esigenze, anche di coesione, della struttura militare, in quanto si tratta di deroghe puntuali rispetto al modello dell’Amministrazione civile.
In altri termini, ha ritenuto che i principi e le esigenze di coesione dei corpi militari siano ampiamente meritevoli di una specifica protezione che giustifica la lamentata disparità di trattamento tra civili e militari.
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