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Reati militari contro il servizio (tra cui la "VIOLATA CONSEGNA")

2022-06-30 15:38

Avv. Christian Petrina

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Reati militari contro il servizio (tra cui la "VIOLATA CONSEGNA")

I reati contro il servizio. ( tra cui la "violata consegna") Sono previsti al capo I del titolo II del libro secondo del c.p.m.p., suddivisi in cinque

I reati contro il servizio. ( tra cui la "violata consegna")

 

Sono previsti al capo I del titolo II del libro secondo del c.p.m.p., suddivisi in cinque sezioni.

Tali figure delittuose possono avere ad oggetto sia la lesione del servizio generico (simulazione di infermità, diserzione) oppure del servizio specifico (abbandono di posto), configurabile quando si viola un obbligo di servizio ben preciso.

La prima sezione si occupa proprio della violazione di doveri generali inerenti al comando.

L’art. 103 c.p.m.p.[1] prevede una pena fino a tre anni per il comandante che, senza autorizzazione governativa o fuori dei casi di necessità, compie atti ostili contro uno Stato estero, prevedendo un aggravamento di pena da due ad otto anni se tali atti sono tali da mettere in pericolo di rappresaglie lo Stato italiano o i suoi cittadini e da cinque a dieci anni nel caso in cui ne consegua la rottura di relazioni diplomatiche o avvengano, di fatto, rappresaglie o ritorsioni.

Se poi, addirittura, vi fosse una potenziale esposizione ad una guerra, la pena non potrà essere inferiore a dieci anni.

Il successivo articolo prevede la punibilità di tale condotta a titolo di colpa, per la precisione si parla di eccesso colposo.

L’art. 105 e 106 c.p.m.p. prevedono, rispettivamente, la fattispecie dolosa e colposa della perdita o cattura di nave ed aeromobile.

Interessante è la posizione giurisprudenziale sulla natura del reato di cui all’art. 106 anzidetto. Infatti, si è ritenuto che i reati di caduta di aeromobile ex art. 428 c.p. nella forma dolosa e del 449 in quella colposa, siano reati di pericolo presunto per la pubblica incolumità, consistente nel cagionare la caduta di un velivolo militare o adibito al trasporto di persone, avente quindi obiettività giuridica diversa da quella ex art. 106 c.p.m.p. che, invece, consiste nel danno per l’amministrazione militare a seguito di doveri funzionali. 

Ne consegue che non vi è un rapporto di specialità tra queste norme indi per cui ben potrà aversi un concorso tra queste figure di reato[2].

L’art. 107 c.p.m.p. prevede il reato di investimento, incaglio o avaria di una nave o di un aeromobile, sancendo una pena della reclusione non inferiore a otto anni per il comandante della nave che ponga in essere una di tali condotte, con un aggravamento fino a quindici anni nel caso di perdita dei mezzi suddetti.

Al secondo comma, poi, estende la punibilità anche ad ogni altro militare che cagiona i danni suddetti alla nave od aeromobile su cui è imbarcato.

Al terzo comma prevede la riduzione di pena, che comunque non potrà essere inferiore a cinque anni, nel caso di particolari circostanze che attenuano la responsabilità del colpevole.

Vi è poi il reato di abbandono o cessione del comando in circostanze di pericolo, previsto all’art. 111 c.p.m.p. con una pena della reclusione fino a dieci anni.

È espressamente richiesto dalla norma, quale elemento costitutivo del reato, l’assenza di un giustificato motivo, quindi di una causa oggettiva, non imputabile all’agente, ovvero soggettiva, ma di una gravità ed eccezionalità tali da non consentire un’autorizzazione superiore alla cessione del comando.

Ovviamente è una fattispecie dolosa e, inoltre, è richiesta per la procedibilità la richiesta del Ministro.

Interessante è anche la fattispecie di cui all’art. 114 c.p.m.p., intitolato usurpazione di comando.

Prevede una pena da due a quindici anni per il militare che indebitamente assume o ritiene un comando, ed un aumento di pena da un terzo alla metà nel caso in cui il comando indebitamente assunto è ritenuto contro l’ordine dei capi, un aumento generico (un terzo) se commesso a bordo di una nave od aeromobile.

L’elemento materiale del reato consiste nell’arbitraria assunzione di funzioni di controllo, distrazione ed impegno di uomini e mezzi costituenti una unità organica delle forze armate, cui consegue, altresì, l’attribuzione di funzioni e poteri anche di carattere amministrativo.

Pertanto, l’episodica attività di intervento su problematiche riguardanti la sicurezza del reparto al quale il militare sia preposto con funzioni subalterne, senza cagionare alcuna conseguenza negativa sull’attività direttiva e di comando dei superiori, non costituisce, di per, sé una indebita ritenzione dell’attività di comando[3].

È invece configurato pienamente nel caso in cui si emanino ordini e direttive contrastanti con le disposizioni del comandante in quanto l’indebita auto attribuzione di un potere di comando cui consegua una turbativa nei confronti dell’attività del legittimo titolare dello stesso potere, configura una condotta usurpatrice.

Alla sezione II sono invece previsti i reati di abbandono di posto e della violazione della consegna, disciplinati dall’art 118 c.p.m.p. che prevede una pena fino a tre anni per il militare che, essendo di sentinella, vedetta o scolta, abbandona il posto o viola la consegna.

Al secondo comma prevede poi una pena da uno a cinque anni di reclusione militare se il fatto è commesso nella guardia di rimesse di aeromobili, magazzini o depositi di armi, munizioni o materie infiammabili od esplosive, oppure a bordo di una nave o aeromobile ed in qualsiasi circostanza di grave pericolo.

L’ultimo comma prevede, invece, una pena da sette a quindici anni nel caso in cui dal fatto è derivato grave danno.

Per “posto di servizio” si intende il luogo assegnato ad un militare per lo svolgimento del proprio servizio, mentre per “consegna”, qualunque disposizione, generale o particolare, sia essa temporanea o permanente, che delinei le modalità di un servizio.

Ne deriva che qualunque azione od omissione in contrasto con l’obbligo di osservare la consegna realizzerà l’elemento materiale del reato, in quanto il militare deve attenersi strettamente alle norme di condotta previste.

La norma non tutela la finalità del servizio, bensì le modalità di svolgimento dello stesso dalle quali non ci si può discostare nemmeno per fini migliorativi.

Il termine sentinella indica, in parole povere, una forma di piantonamento, ma armato.

Vedetta è il servizio di colui che viene posto in un punto di osservazione con l’obbligo di osservare e riferire, mentre la scolta è il militare imbarcato che ha il compito di mantenere e salvaguardare l’ordine a bordo, compresa l’osservanza dei doveri generali da parte degli imbarcati.

Nella ipotesi in cui durante un servizio di sentinella si presenti una situazione che renda impossibile la prosecuzione del servizio, il militare non potrà allontanarsi dal posto, avendo il dovere di chiedere la sostituzione e di non allontanarsi fino a quando viene rilevato dal comandante della muta, unico responsabile del cambio, come, ad esempio, in presenza di un malore che, comunque, gli consenta di recarsi presso la camerata sita lontano dal posto di vigilanza. 

La giurisprudenza ha sancito che in questi casi il malessere non è talmente grave da impedire l’attesa del cambio[4].

Secondo la Corte di legittimità è configurabile il concorso tra il reato di abbandono di posto di sentinella e quello di violata consegna, seppur unificati dal vincolo della continuazione[5].

Il reato si configura anche nel caso in cui vi sia un’altra sentinella ed il soggetto abbandoni l’arma e si allontani dal luogo cui era assegnato.

L’art. 119 prevede poi una pena fino ad un anno per il militare che si addormenta mentre è di sentinella, vedetta o scolta.

La differenza rispetto alla fattispecie che precede sta nel fatto che qui si tratta di un comportamento involontario, praticamente colposo, da qui la pena inferiore prevista, e che nel 119 l’addormentamento è un elemento costitutivo del reato, mentre nel 118 costituisce circostanza aggravante.

 

L’art. 120 c.p.m.p. prevede, invece, che:

fuori dei casi enunciati nei due articoli precedenti, il militare che abbandona il posto ove si trova di guardia o di servizio, ovvero viola la consegna avuta, è punito con la reclusione militare fino ad un anno.

È previsto un aumento di pena nel caso in cui si tratti del comandante di un reparto o di militare preposto ad un servizio o il capo di un posto, oppure si tratti di servizio armato.

È richiesto il dolo generico, quindi la coscienza e volontà di tenere un comportamento difforme dalle prescrizioni imposte con la consegna ricevuta, mentre l’errore o l’ignoranza del contenuto della consegna escludono la sussistenza del dolo in quanto errore sul fatto e non una inescusabile ignoranza dei doveri militari di cui all’art. 39 c.p.m.p. o una più generica inescusabile ignoranza della legge penale.

Per tali motivi, è presupposto del reato il c.d. indottrinamento, cioè la precisa trasmissione del contenuto della consegna al militare.

Per costante indirizzo giurisprudenziale, per configurarsi il reato di violata consegna è necessaria l’esistenza di una “consegna precisa, che determini tassativamente e senza spazi di discrezionalità quale debba essere il comportamento del militare in servizio”[6].

La consegna si differenzia dall’ordine perché il soggetto ricevente ha l’obbligo di farla osservare anche dai terzi verso i quali deve essere eseguito il servizio.

Attenzione che il militare che “di fatto” espleta un determinato servizio, sia esso di sentinella, guardia ecc., è equiparato al militare che svolge il servizio stesso per esser stato comandato dall’autorità militare.

In altri termini, la mancanza della investitura non lo rende esonerato dall’obbligo di osservare tutte le norme che regolano il servizio medesimo.

Ma cosa succede nel caso di investitura illegittima?

Ebbene, secondo la Giurisprudenza di merito:

l’ordine di assumerne un determinato servizio è entità logicamente e giuridicamente ben distinta dalla consegna, che vincola per il fatto dell’assunzione del servizio stesso. Quando l’ordine di assumere servizio sia illegittimo, il militare può trasgredirlo senza incorrere in alcun reato. Ma una volta assunto il servizio è comunque tenuto ad adempiere tutti i doveri che la relativa consegna comporta. Un eventuale posizione di diritto soggettivo viene infatti meno, per implicita rinuncia, se il militare abbia preferito assumerne il servizio”[7].

 

Il reato di abbandono di posto si consuma nel momento in cui il militare di guardia, con la sua condotta si ponga in una condizione di spazio tale da non poter più adeguatamente adempiere al suo dovere di servizio, in quanto si tratta di un reato di mero pericolo.

Tra l’altro, si tratta di reato di pericolo presunto, che si configura a prescindere dalla coscienza e volontà del militare trasgressore di produrre con la sua condotta quel danno o quel pericolo sotteso alla realizzazione della fattispecie tipica.

Ecco perché, si ripete, è sufficiente per la sua configurabilità la semplice violazione delle prescrizioni, senza che sia necessario il verificarsi di un evento dannoso o, comunque, di un qualsivoglia ulteriore evento come conseguenza della violazione.

Giova fare un breve cenno ad una figura di reato a questa collegata.

L’art. 140 c.p.m.p. prevede la c.d. forzata consegna, stabilendo una pena da sei mesi a due anni per il militare che in qualsiasi modo forza una consegna. 

Prevede poi la pena da due a sette anni nell’ipotesi in cui il fatto viene commesso in alcune delle circostanze di cui al secondo comma dell’art. 118 ed un aumento di pena se commesso con armi o da tre o più persone riunite, ovvero se ne è derivato grave danno.

L’elemento materiale di questo reato è costituito da una consegna assegnata ad un militare e dalla forzatura di questa da parte di un altro militare.

In pratica il soggetto attivo non deve essere il titolare della consegna.

Anche in questo caso, però, occorre che venga informato del contenuto della consegna, dovendosi escludere la configurabilità dell’elemento soggettivo in caso contrario.

Quindi nel caso in cui il contenuto della consegna non sia rispettato dal titolare della stessa si avrà violata consegna, se, invece, non viene rispettato da un altro soggetto verso cui si deve svolgere il servizio oggetto della consegna medesima, si avrà forzata consegna.

Nel capo III del titolo secondo del libro secondo, sono previsti i reati di assenza dal servizio alle armi.

L’art. 147 c.p.m.p. prevede, infatti, una pena fino a sei mesi per il militare che, essendo in servizio alle armi, se ne allontana senza autorizzazione e rimane assente per un giorno, prevedendo, al secondo comma, la medesima punizione per quello che legittimamente assente non si presenti, senza giusto motivo, nel giorno successivo a quello prefissato.

Sono giustificativi dell’assenza la malattia grave di un prossimo congiunto o l’aborto del coniuge, una malattia mentale, una che causi l’intrasportabilità del soggetto ed anche quella che, anche se non verificata, sia certificata come impeditiva della normale attività lavorativa.

Tra il primo e secondo comma vi è una precisa differenza, non solo relativa alla condotta, ma anche in relazione alla circostanza che solo in quest’ultimo caso il giusto motivo esclude la configurabilità del reato.

Nella condotta di cui al primo comma, allontanamento illecito, viene punita l’assenza che si protragga per almeno un giorno per il cui computo non si considera il giorno iniziale dell’assenza, ma il successivo. 

Quindi l’assenza deve protrarsi per tutto il giorno successivo a quello dell’allontanamento.

L’allontanamento non deve superare i cinque giorni, altrimenti si configurerà il reato di diserzione.

Il dolo richiesto è quello generico ed essendo prevista una pena fino a sei mesi è richiesta per la procedibilità la richiesta ex art. 260, comma 2 c.p.m.p. del Comandante di Corpo.

Se invece si configura il reato di diserzione, previsto dall’art. 148 c.p.m.p., la pena va da sei a due anni e la procedibilità è d’ufficio.

Come detto si realizza se l’assenza si protrae per cinque giorni, senza computare né il giorno iniziale né quello di rientro, ed è punito più gravemente perché differisce dal reato di cui all’art. 147 c.p.m.p. in quanto si presume che il militare che non rientri oltre un determinato termine, manifesti la volontà di abbandonare definitivamente il servizio[8].

L’elemento psicologico può anche configurarsi nel mero dolo eventuale, che si ha, come già visto, quando il soggetto agisce senza il fine di commettere il reato, ma se ne rappresenti, comunque, la realizzazione soltanto come possibile conseguenza di una condotta diretta ad altri scopi, accettandone il rischio.

Viene escluso nel caso di forza maggiore intesa come assoluta impossibilità di movimento[9].

Avuto riguardo alla diserzione impropria, di cui al numero 2) dell’art. 148 c.p.m.p., che si configura allorché il militare, legittimamente assente, non si presenti nei cinque giorni successivi a quello prefisso, affinché si possa poi configurare un giusto motivo che legittimi la mancata presentazione del soggetto, l’eventuale impedimento alla presentazione deve originare da una situazione transitoria ed improvvisa, non permanente né, tantomeno, preesistente al fatto[10].

Inoltre, il giusto motivo non va configurato come una causa di giustificazione, ma come elemento integrativo del reato, escludente l’antigiuridicità della condotta, per cui non si applicherà il regime delle esimenti e, di conseguenza, nemmeno il criterio delle esimenti putative di cui all’art. 50 secondo c.p.v del codice penale.

In altri termini, non potrà essere tenuta in considerazione se sconosciuta dal trasgressore.

L’art. 149 c.p.m.p. prevede poi una serie di casi in cui si configura la diserzione c.d. immediata, quindi a prescindere dal trascorrere dei cinque giorni richiesti dal 148 c.p.m.p.

Ad esempio, nel caso di mancato imbarco del militare su nave od aeromobile alla partenza dello stesso, o del militare che evade mentre sta scontando una pena detentiva, quello che prende servizio a bordo di una nave o aereo di uno Stato estero.

In tali casi, è ammissibile il tentativo e la procedibilità è d’ufficio, il dolo richiesto è quello generico e la competenza territoriale si stabilisce ai sensi dell’art. 274 comma 1 c.p.m.p., il quale prevede che per i reati di diserzione, di mancanza alla chiamata e di allontanamento illecito la competenza è del Tribunale del luogo in cui ha sede il corpo o il reparto cui apparteneva l’imputato o doveva presentarsi, ovvero del Tribunale del luogo dell’arresto, della consegna o della volontaria costituzione in caso, appunto, di consegna o volontaria costituzione od arresto.

 

[1] Atti ostili del comandante contro uno stato estero.

[2] Cass. Pen., sez. VI, 19 giugno 1998, n. 7266.

[3] Corte mil. App., sez. Distinti. Verona, 1° ottobre 1993.

[4] Trib. Sup. Mil. 20 marzo 1981, n. 64

[5] Cass. Pen. Sez. I, 2 marzo 1984, n. 1947.

[6] Cass. Pen., sez. I, 15 luglio 1993.

[7] Corte mil. App., 24 febbraio 1983, Olivè, in Rassegna. Giust. Militare 1983, 507.

[8] Cass. Pen., sez. I, 23 ottobre 1986, n. 11634.

[9] Cass. Pen., 28 ottobre 1985, Pascalone, in “il diritto penale militare”, Milano, 1993, 22.

[10] Cass. Pen., sez. I, 25 settembre 1998, n. 10094.

 

 

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