L’art. 220 c.p.m.p. prevede che:
“il militare, che forma in tutto o in parte, un foglio di licenza o di via o un permesso o una autorizzazione di libera uscita o d’ingresso o di libera circolazione in uno stabilimento militare, o un documento di entrata in un luogo di cura militare o di uscita da questo, ovvero altera alcuno di detti fogli, autorizzazioni o documenti veri, è punito con la reclusione militare fino ad un anno.
La stessa pena si applica al militare, che fa uso di alcuno dei fogli, autorizzazioni o documenti indicati nel comma precedente, da altri falsificato o alterato, ovvero regolarmente rilasciato ad altro militare e non alterato”.
La lettera dell’art. 220 c.p.m.p. parla chiaro disponendo che “il militare che forma in tutto o in parte… ovvero altera uno di tali documenti o fa uso di documenti da altri falsificato o alterato”, contemplando inequivocabilmente ipotesi di solo falso materiale, potendosi escludere che sia contemplata anche una ipotesi di falso ideologico.
Volendo brevemente spiegare le differenze tra queste due figure delittuose, possiamo brevemente dire che in quello materiale la condotta ha ad oggetto la forma dell’atto, ad esempio la sottoscrizione, l’intestazione o la data, mentre nella ipotesi di falso ideologico l’oggetto dell’azione criminosa è il contenuto dell’atto, quindi il dichiarare, in un atto perfettamente veritiero nella forma, circostanze non vere.
Anche in questo caso siamo di fronte ad una distinzione di non poco conto, proprio perché nella ipotesi in cui il falso contestato possa configurarsi come ideologico e non materiale, la fattispecie non rientrerebbe nella norma in esame, bensì tra le fattispecie previste dal libro II, titolo VII, capo III del codice penale, rientranti nella giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria ordinaria.
Tale assunto è stato fatto proprio, di recente, proprio dalla Corte militare di appello nella sentenza n. 101/2017 emessa dalla Prima Sezione in data 5 ottobre 2016, ove, nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto il solo reato di Truffa ritenne che “non può ritenersi sufficiente il rilievo della oggettiva falsità delle attestazioni riportate nei documenti compilati dall’imputato, dal momento che egli non è stato chiamato a rispondere di falso ideologico, ossia della mendace e volontaria rappresentazione di circostanze di fatto di sua conoscenza, ma di truffa [….]”, così ritenendo, seppur incidenter tantum, che le false attestazioni cosi realizzate costituivano falso ideologico e non materiale.
In tale ipotesi, ben potrà rilevarsi il difetto di giurisdizione del Giudice militare in favore di quello ordinario.
Interessante anche la questione relativa al rapporto tra il reato di falso (nella specie in atto pubblico) ed il delitto di truffa, al fine di comprendere se possa esservi un assorbimento tra le due figure.
La risposta è negativa in quanto tra i due reati è configurabile il concorso materiale quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa, potendosi escludere di trovarsi innanzi una ipotesi di reato complesso per la cui configurabilità è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro e non quando siano le modalità di realizzazione del fatto tipico a determinare un incontro tra due norme. In tal caso, quindi, si avrà un concorso di reati. Soluzione applicabile anche al rapporto tra la truffa ed il reato di cui all’art. 220 c.p.m.p.
Rimangono altre fattispecie da esaminare che saranno trattate in un volume separato, unitamente ad un approfondimento di quelle che, brevemente, si sono descritte qui.
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