L’art. 590-sexies c.p. è stato introdotto dall’art. 6 della Legge 24/2017 definita Legge Gelli-Bianco dal nome dei rispettivi relatori alla Camera dei Deputati ed al Senato.
Tale novella introduce nuove “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
L’articolo 590-sexies disciplina, infatti, la responsabilità colposa per morte o per lesioni personali in ambito sanitario. Al primo comma sancisce che “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previsto dal secondo comma”. Quest’ultimo, maggiormente di interesse per la nostra breve disamina, stabilisce che “Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto”. Può notarsi che è sparito qualsiasi riferimento al concetto di colpa grave in quanto si parla di colpa per imperizia a prescindere se si ricada in colpa lieve o grave.
Occorre ricordare che fino alla fine degli anni Ottanta la Giurisprudenza era orientata, sulla scia dell’art. 2236 c.c., verso una responsabilità limitata ai casi di dolo o colpa grave nel caso in cui la prestazione avesse ad oggetto problemi tecnici di speciale difficoltà. Inutile precisare che ciò restrinse parecchio il quadro della responsabilità.
Tuttavia, per altri aspetti si faceva riferimento all’art. 43 c.p. ritenendo penalmente rilevanti anche i casi in cui si versava in colpa lieve. Ciò comportò una vera e propria paura tra i medici ed i sanitari tanto da portare alla cd. “medicina difensiva” in cui si prescrivevano per sicurezza anche cure non essenziali o, addirittura, si tendeva a rinviare il paziente verso altri colleghi.
Un primo cambiamento conseguì alla Legge 189 del 2012 (cd. Legge Balduzzi) il cui art. 3 prevedeva due fattori limitativi della responsabilità penale del medico che erano, da un lato, il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e, dall’altro, l’assenza di colpa grave, escludendo, dunque, dall’alveo del biasimo penale le ipotesi in cui si versava in colpa lieve, fermo restando l’obbligo di risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Linee guida che, secondo orientamenti giurisprudenziali, si pensi alla sentenza Cantore possono definirsi come “il sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche…”.
La Giurisprudenza, tra l’altro, si orientò nel ritenere esclusa la responsabilità penale per colpa lieve solo nei casi di imperizia e non di negligenza od imprudenza in quanto le linee guida e buone pratiche assistenziali dalla norma richiamate contengono solo regole di perizia, andando a ritenere sussistente la responsabilità configurata anche per colpa lieve nei casi, si ripete, di negligenza ed imperizia.
Detto questo, con la novella del 2017, come anticipato, può notarsi (art. 590 sexies c.p.) che è innanzitutto sparito qualsiasi riferimento al concetto di colpa grave o lieve in quanto si parla di colpa per imperizia a prescindere dal grado della colpa medesima, rimanendo punto di riferimento il rispetto delle linee guida che, in ogni caso, devono essere adatte al caso concreto e che adesso, devono essere oggetto di definizione e pubblicazione ai sensi di legge, diversamente da quanto sanciva l’art. 3 della Legge Balduzzi che chiedeva il “semplice” accreditamento della comunità scientifica delle linee guida e delle buone pratiche. Sicuramente meritevole di lode il tentativo del Legislatore, mediante l’ultima riforma, di fossilizzare con più ampia certezza la nozione di linee guida che adesso non sono più equiparate alle buone pratiche accreditate dalla comunità essendo queste state “declassate” dalla riforma ad un ruolo sussidiario rispetto alle prime (linee guida) normativamente specificate.
Per quanto riguarda queste ultime punto di riferimento è l’art. 5 della Legge Gelli-Bianco intitolato: “Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida” che prevede:
“Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalita' preventive, diagnostiche,terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, siattengono, salve le specificita' del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonche' dalle societa' scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.” Di fatto, tale articolo ha un ruolo chiave in quanto oltre a specificare le condotte potenzialmente non punibili delinea anche le linee guida rilevanti in tal senso. Più nello specifico oggi può ammettersi che la responsabilità penale va esclusa quando concorrono tre fattori: il primo è la causazione dell’evento per imperizia, il secondo l’aver rispettato le linee guida normativamente previste o, in mancanza, le buone pratiche clinico assistenziali ed, infine, l’adeguatezza delle linee guida al caso concreto.
Attenzione che nel caso in cui non si seguano le linee guida perché ritenute non adatte al caso concreto, essendovi comunque una violazione di legge, si potrebbe rispondere comunque per responsabilità civile ex art. 2043 c.c. essendo prevista la non punibilità in tal senso solo in ambito penalistico.
Sarà onere del sanitario, ovviamente, provare le ragioni del discostamento dalle linee guida.
Altra notevole differenza tra la nuova normativa e la precedente sta nel riferimento alla esclusione della responsabilità penale, in questi casi, solo per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose, mentre nella previgente normativa era estesa a tutti i reati inerenti alla professione medica.
Pertanto, con la riforma sparisce ogni distinzione tra colpa lieve e grave, limitando la disciplina ai due reati colposi di omicidio e lesioni commesse da esercenti le professioni sanitarie quindi anche infermieri ed altri operatori del settore medico.
Parimenti, deve considerarsi che, secondo il disposto della nuova norma la punibilità va esclusa solo nei casi di imperizia e non anche in quelli in cui si versi in ipotesi di negligenza o imprudenza.
Da ricordare, inoltre, l’art. 15 che prevede che: “Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilita' sanitaria, l'autorita' giudiziaria affidal'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o piu' specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare,scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d'ufficio da nominare nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi”.
Certo, appare criticabile l’art. 590 sexies c.p. nella misura in cui esclude che una condotta imperita del sanitario non possa essere punita se si sono rispettate le raccomandazioni delle linee guida tipizzate normativamente. Infatti, come si può parlare di imperizia se si sono rispettate le regole imposte da una legge?
Inoltre, sarà oggettivamente difficoltoso distinguere ed identificare con certezza i casi di imperizia da quelli di negligenza ed imprudenza che escludono la non punibilità prevista dalla norma de qua.
Processualmente, inoltre, si noti che per le condotte caratterizzate da colpa lieve, ai sensi dell’art. 2 comma 4 c.p. che prevede la irretroattività della novella più sfavorevole o la retroattività se più favorevole, si applicherà la l’art. 3 della precedente Legge Balduzzi che escludeva la punibilità per colpa lieve.
Possiamo dire che, ancor oggi, pur essendovi un tentativo del Legislatore di delineare in modo più puntuale i contorni della responsabilità penale nel caso di delitti colposi di omicidio o lesioni commessi nell’esercizio della professione sanitaria, rimangono ancora molte lacune che dovranno colmarsi nelle aule di giudizio.
Ad esempio, basti considerare che tale novella sembra avvantaggiare il sanitario meno puntuale e preciso a discapito del collega maggiormente attento.
Infatti, in caso di morte o lesioni subite dal paziente, il medico che si atterrà alle linee guida sarà, in caso di imperizia, assolto al contrario di colui che attenzionando le specificità del caso per il bene del paziente, senza limitarsi ad una sterile osservanza dei dettami del protocollo, subirà un condanna. O quantomeno, per il primo non vi sarà alcun onere probatorio dovendo l’accusa dimostrare che le linee guida non erano consone al caso concreto, onere probatorio a carico del medico, invece, nel secondo esempio da noi trattato , quello del medico che abbia attenzionato le specificità del caso disapplicando le linee guida. Si corre insomma il rischio di ricadere nella trappola della cd. medicina difensiva, in quanto qualche operatore sanitario potrebbe decidere di limitarsi ad applicare le linee guida senza preoccuparsi delle peculiarità del caso concreto.
Nella prossima sintesi della nuova disciplina andremo ad analizzare le responsabilità dell’esercente la professione sanitaria dal punto di vista civilistico.